Privato nella sanità si nutre di soldi pubblici ma non rinnova contratti
Venezia, 30 maggio 2020 - Non c’è nulla di più ripugnante dell’atteggiamento dei padroni della sanità privata in questo momento. Dopo 14 anni che non rinnovano il contratto di lavoro per i loro dipendenti, adducendo la scusa che il pubblico con il quale sono convenzionati non li remunera abbastanza, adesso tirano in ballo il covid-19 per dire che hanno sofferto e che non hanno i soldi per farlo.
Non c’è nulla di più odioso di coloro che agiscono sulle debolezze dei lavoratori che in questa fase sono preoccupati perché ancora non vedono i soldi degli ammortizzatori sociali e temono per il loro futuro lavorativo, per affermare che “tutto sommato” si accontentassero di avere ancora un posto di lavoro e di ringraziare i datori che non glielo levano.
“Poco manca che chiedano ai lavoratori di pagare per poter continuare a lavorare” provoca Ivan Bernini, Segretario generale della Fp Cgil Veneto.
È una vicenda che ha dell’incredibile. Le associazioni della sanità privata, Aiop che afferisce a Confindustria e Aris soggetto ecclesiastico, continuano a “batter cassa” nei confronti di stato e regioni per avere risorse pubbliche con le quali rinnovare il contratto dei lavoratori. Il privato che chiede soldi al pubblico.
“Non basta mai - continua Bernini - Forse è utile che si mettano d’accordo con sé stessi: lamentano, come sono soliti fare, l’invadenza del pubblico in settori nei quali, a loro dire, lo stato deve lasciare spazio al mercato ma allo stesso tempo non operano in un regime di mercato vivendo di convenzioni pubbliche. Convenzioni che garantiscono al privato lavoro sicuro, ben pagato visto che si occupano di attività che rendono molto e costano poco, lasciando al pubblico le attività più onerose e a rischio. Senza contare, ogni tanto se ne dimenticano, quanto hanno introitato in questi anni nei quali lo sviluppo dell’assistenza sanitaria integrativa e delle sue prestazioni collegate, sono state indirizzate quasi esclusivamente alla sanità privata.
“Negli anni della crisi – puntualizza Bernini - dal 2007 in avanti, proprio le strutture sanitarie private sono quelle (Fonte Sole 24 ore giornale di Confindustria) che hanno visto crescere gli utili a discapito di altri settori. Eppure, poco dignitosamente, affermano che i loro bilanci sono in rosso e che non hanno soldi per remunerare i lavoratori dopo 14 anni dalla scadenza dei contratti. Detto in altri termini il portafoglio dei padroni della sanità privata si gonfia ma le tasche di chi lavora sono sempre più vuote”.
L’emergenza Covid-19 ha fatto emergere almeno due elementi: che il Veneto ha tenuto più di altri per l’organizzazione del sistema sanitario pubblico e che è necessario incrementare gli investimenti sanitari pubblici ospedalieri e della rete territoriale soprattutto in termini di personale, competenze e professionalità.
“Ci sentiamo, a questo punto, di operare una proposta che accoglie in parte le loro richieste – prosegue - mettiamoli nel mercato puro come chiedono, meno ingerenza del pubblico, e accontentiamoli: per farlo, però, togliamogli ogni convenzione, altrimenti parliamo d’altro. Al tempo stesso, considerato che i lavoratori di quei settori esprimono professionalità e competenze fondamentali per il funzionamento del sistema sanitario regionale, assumiamoli nel pubblico operando quegli investimenti che sono necessari per garantire alla popolazione tutte quelle attività che sono state affidate al privato. E cominciamo a dire che le prestazioni legate all’assistenza sanitaria integrativa, considerato che i fautori di questo sistema la ritengono necessaria a supportare le attività che il pubblico da solo non riesce a svolgere, saranno prioritariamente svolte dal servizio sanitario regionale attraverso i maggiori investimenti in termini di attività garantiti dalle nuove assunzioni e dagli investimenti in tecnologia che arriveranno da quei finanziamenti.
“Il detto chi troppo vuole nulla stringe non può valere per i lavoratori. Deve valere per i padroni della sanità privata” conclude Bernini.