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Mestre, 8 settembre 2022 - Nel mentre Università e Politica dibattono sul numero chiuso nell’accesso alla facoltà di medicina e Chirurgia, tema da affrontare per il futuro sul quale anche noi riteniamo debbano essere assunti provvedimenti coerenti con il fabbisogno di personale sanitario, pare essere scomparso dalla priorità delle forze politiche – a differenza dei c.d. tecnici che devono fare i conti con le urgenze del momento senza avere strumenti adeguati ad affrontarle – non assumere la priorità di definire interventi che guardino immediatamente ad uno dei fenomeni che rischiano di travolgere la capacità di sostenere i servizi e le prestazioni nell’immediato - afferma Ivan Bernini Segretario Generale della Fp Cgil del Veneto - Ci riferiamo, in particolare, alla fuga di personale dipendente che anche grazie all’elusione di norme vigenti si dimettono dal rapporto di dipendenza dalle strutture pubbliche per scegliere rapporti libero professionali da esercitare sia nelle strutture pubbliche (un paradosso) che private. Si badi che il fenomeno è indotto non solo per aspetti di natura economica ma anche per condizione di lavoro.

Il risultato è disastroso per le strutture pubbliche – prosegue Bernini – che, “strangolate” da una delle tipiche dinamiche indotte dalle leggi di mercato (una domanda superiore all’offerta) si vedono costrette, pena la chiusura di interi servizi (dai Pronto Soccorso alle sale operatorie), a pagare personale esterno anche a 120 €/ora che favorisce, a cascata, una pratica emulativa nel personale dipendente. E siamo al paradosso che tutto quanto si è voluto contenere prima in termini di spesa – dai vincoli alla spesa lineari senza margini di flessibilità organizzativa, al blocco delle assunzioni fino al reiterato blocco delle retribuzioni, si perde ora con un sostantivo aumento della spesa pubblica (con spostamenti nei bilanci da spesa del personale ad acquisto di prestazioni) che rischia di produrre concretamente almeno due effetti: il default dei bilanci delle strutture pubbliche – che poi paradossalmente entrano nella spirale dei piani di rientro – e l’interruzione dei servizi.

Se non si interviene su questo aspetto - continua Bernini - ci potremmo trovare in una situazione tra qualche anno nella quale all’interno delle strutture pubbliche avremo sempre meno personale dipendente e sempre più personale convenzionato o libero professionista: altro che qualità delle cure e dell’assistenza. E può essere transizione forzata da un modello pubblico ed universalistico che con tutti i suoi limiti ha garantito di avere una sanità “per tutti” di buona qualità (mediamente) ad un modello che assume altre caratteristiche.

Le soluzioni? Possono i Direttori generali delle singole aziende o le regioni stabilire dei limiti all’utilizzo di personale esterno, dei limiti nel ricorso agli appalti o di “imporre” tetti di spesa agli emolumenti riconosciuti ai liberi professionisti parificandoli ai costi sostenuti per il personale dipendente? No, non possono in assenza di una normativa nazionale di sostegno. E anche se lo facesse la singola azienda e non l’insieme delle strutture in tutto il Paese l’unico risultato ottenuto sarebbe quello di non riuscire a reclutare nessuno nella logica competitiva.

Per Bernini “Serve che Stato e Regioni provino subito a condividere alcuni percorsi prima che “la valanga” in atto sia irreversibile. Come? Con situazioni anche radicali nella cultura che ha governato le scelte dei Governi in questi anni nel contenimento alla spesa, richiamandosi al principio per il quale se la salute pubblica è prioritaria nell’interesse generale del Paese servono adottare provvedimenti che rendano coerente sempre questo principio. Assumere come imperativo che è necessario finanziare straordinariamente il fondo sanitario, almeno congelando parte degli attuali vincoli per i prossimi anni, per poter effettuare un piano straordinario di assunzioni accompagnato da un incremento delle retribuzioni e di incentivi che rendano attrattive le strutture del SSN. Accompagnare questo piano con soluzioni organizzative che considerino politiche di “age management” sostenendo percorsi per il personale più anziano (media età in sanità 53 anni) che possa accompagnare, formandolo, il personale più giovane e generando “soluzioni di carriera” vera che non siano solo informali. Introdurre norme legislative di sostegno, subito però, che dicano che il ricorso al personale esterno non può essere remunerato più di quanto si paga un dipendente con medesimo profilo e qualifica, e che prevedano che queste forme di reclutamento non siano possibili da qui a un anno”.

È evidente - conclude Bernini - che qui abbiamo indicato solo alcune priorità attraverso il quale frenare “l’emorragia” di personale e che accanto ad esse vanno riviste complessivamente altre questioni inclusi i processi formativi, l’accesso alla formazione, le riflessioni su una generale reimpostazione di tutte le figure professionali del sistema salute dopo oltre 20 anni dalla riforma. Serve una diversa relazione tra pubblico e privato, che riveda anche l’attuale sistema di accreditamento e che operi una valutazione sull’opportunità di rivedere gli stessi DRG. Noi pensiamo, in generale, che andrebbero radicalmente riviste talune scelte operate fin dal 1992 verso un’aziendalizzazione spinta che ha favorito la “competizione tra produttori” e che ha sdoganato la mercificazione della salute nel nome della “libera scelta”. Ma ci accontenteremo, intanto, se il legislatore nazionale provasse a definire alcune prime risposte prima che le dinamiche in atto diventino una “valanga” che rischia di seppellire tutto il sistema pubblico dei servizi”.

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