Venezia, 25 settembre 2024 - Ciclicamente si reiterano episodi di violenza fisica su persone e cose all’interno delle strutture pubbliche nelle quali si erogano servizi alla persona e quotidianamente vengono segnalati episodi di aggressività verbale nei confronti del personale che talora esasperato contraccambia.
Fanno notizia gli episodi eclatanti ma è nella quotidianità che la violenza in tutte le sue forme si esprime. Proprio per questa ragione, afferma Ivan Bernini segretario generale della FP CGIL di Venezia, pensiamo che questo tema debba diventare centrale nel dibattito e nelle politiche pubbliche. Attraverso un decreto legge sono state inasprite pene per chi si rende responsabile di aggressioni o danneggiamenti sia di natura amministrativa che detentiva, sono stati fatti protocolli tra soggetti istituzionali che intervengono per ampia parte in caso di avvenimenti di aggressione, vengono fatti corsi al personale per “gestire le situazioni di conflitto e aggressione”, supporto psicologico a chi è vittima di violenza: tutte cose importanti che vanno valorizzate fermo restando che quando sei vittima di violenza il dolore fisico e psicologico te lo porti dentro per sempre e con esso la paura.
Ciclicamente da anni si parla di “militarizzare” le strutture con la presenza fisica di posti di polizia nei pronto soccorso o di guardie giurate che sorveglino le strutture: è praticabile? Se da anni se ne parla ma non vengono assunte iniziative in tale senso vuol dire che tanto praticabile non è, diversamente si sarebbe già fatto. Ma di fronte alla paura che ormai attraversa chi lavora nei luoghi in cui il contatto diretto con le persone è elemento che non esclude il conflitto e la violenza non bastano più i corsi per il personale né basta sperare che tutto vada sempre bene.
Facciamo presente, continua Bernini, che questi episodi sono spesso compiuti da persone connotate da forte disagio sociale e comportamentale, talvolta sono noti ai servizi che si occupano di disagio, di patologie comportamentali o di dipendenze. Talvolta sono i cosiddetti “invisibili”, cioè quelle persone che manifestano disagio e che non sono conosciute dai servizi né delle Ulss né degli enti locali e che poi, scavando nell’ambito della comunità presso la quale vivono sono conosciuti per taluni atteggiamenti ove si sussurra “l’avevano detto, avevamo notato, è una famiglia strana, o è una famiglia normale ma non parlano con nessuno”.
È chiaro che di fronte a tanta violenza la prima risposta sia di chi è esterno a quei posti di lavoro sia tra i lavoratori è “militarizziamo” i servizi perché noi non possiamo vivere costantemente nella paura con il timore di essere pestati o che devastino il nostro ambiente di lavoro. Puoi spiegare in tutte le salse che quella è la risposta all’emergenza ma è nella prevenzione che si dovrebbe agire, ma se ti “pestano al lavoro” o ti umiliano con le parole il tuo problema è lavorare sicuro.
Ma è altrettanto chiaro, e questo spetta alle Istituzioni, che le politiche di prevenzione – ivi inclusi quei servizi che si occupano di disagio mentale – vanno incrementate. Assistiamo, diversamente, ad un graduale ma costante disinvestimento dei servizi di prevenzione e della salute mentale. Assistiamo al fatto che ancora qualche anno addietro si erano previsti gli “steward” nei pronto soccorso per “assistenza indiretta e psicologica a chi era in attesa” ma se ne è persa traccia.
Servono interventi che agiscano prima di arrivare lì dove siamo, conclude Bernini, diversamente si agisce solo sull’emergenza e spesso solo a parole.